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Ne parliamo con Massimo Alvisi

Ne parliamo con Massimo Alvisi

Una intervista con Massimo Alvisi, Fondatore dello studio Alvisi Kirimoto + Partners e coordinatore del gruppo di lavoro G124 di Renzo Piano, sull'economia della collaborazione e della condivisione e sul percorso #CollaboraToscana.

Quali sono gli sviluppi più promettenti che si sono aperti con lo sviluppo dell’economia della condivisione e della collaborazione?

Per quello che riguarda l’ambito della rigenerazione urbana - mio settore di expertise - e più in generale dello spazio e della città, credo che i risultati più promettenti si stiano avendo nell’ambito di un nuovo approccio all’urbanistica orientato alla collaborazione e ai beni comuni. Per fare un esempio molto rilevante, alla Biennale di Venezia, per la prima volta il progetto del padiglione italiano sarà tutto incentrato sui beni comuni, sulla collaborazione, sulla necessità di introdurre un nuovo sguardo sulla città, orientato al prendersi cura e alla condivisione. Questo focus segna un passaggio molto importante dall’idea del partecipare all’idea del collaborare alle trasformazioni. Implica infatti che i nuovi interventi urbanistici siano legati al cittadino e al territorio in modo indissolubile e siano commisurati alle reali necessita degli abitanti. Un tema importante dell’urbanistica del futuro sarà proprio quello della trasformazione della nostra normativa urbanistica - oggi generalmente obsoleta nonostante sacche locali di innovazione - per mettere al centro proprio i temi della collaborazione e della condivisione.

Molti commentatori mettono in evidenza anche possibili criticità e rischi. Quali sono secondo te gli elementi da tenere in considerazione da questo punto di vista?

Ritengo che l’elemento centrale sia proprio quello del superamento della partecipazione e del passaggio dalla urbanistica partecipata alla urbanistica collaborata.

La partecipazione negli ultimi decenni ha contribuito a deresponsabilizzare molti politici, amministratori, urbanisti, architetti, sviluppatori e gli stessi curatori dei processi partecipativi, portandoli a non assumersi le proprie responsabilità, soprattutto verso le fasce più deboli. Questo ha condotto ad un sostanziale scetticismo intorno all’idea della partecipazione, che deve essere superato mettendo in luce la differenza che intercorre tra di essa e la collaborazione.  

Nella collaborazione, c’è il progettare con altri, c’è la dimensione del fare insieme e dello sviluppare un progetto comune, e questo responsabilizza tutti. La collaborazione fa si che tu sia un attore specifico delle trasformazioni, ti obbliga ad intervenire attivamente e in prima persona.

Un grande limite dei processi partecipativi è che spesso venivano rinnegati i risultati nella fase di sviluppo del progetto e questo era possibile perché c’era una separazione netta tra la progettazione e l’attività partecipativa. Quello che si sta facendo oggi con l'urbanistica collaborata è invece cercare di fare coincidere queste due attività: partecipazione e progettazione.

Mi puoi fare un esempio concreto di una esperienza legata all’economia collaborativa che ti ha particolarmente colpito? Perché?

In prima battuta, quello che abbiamo attuato a Battipaglia assieme al Professor Christian Iaione. Qui abbiamo un processo collaborativo lungo e interessante per definire linee guida condivise per lo sviluppo della città e per identificare progetti chiave per il piano strategico della città. Con questo processo non abbiamo solo chiesto ad Amministrazione e cittadini di definire le priorità assieme a noi, ma siamo anche intervenuti sul territorio per rigenerare alcuni degli spazi indicati dai cittadini, di fatto mettendo in pratica con un approccio collaborativo le prime indicazioni di ri-progettazione del piano strategico. Così facendo abbiamo riqualificato una scuola abbandonata, abbiamo restituito alla cittadinanza alcuni beni confiscati alla mafia, abbiamo realizzato piste ciclabili, abbiamo chiesto ad un privato di mettere a disposizione un suo spazio per realizzare una piazza. Tutto questo prima della fine della redazione delle linee guida, così che al momento della loro approvazione alcuni punti erano già stati realizzati. Questo secondo me è un punto centrale: l’economia collaborativa permette alla trasformazione di avvenire durante il processo e così facendo unisce l’ideazione all’azione, la co-progettazione alla realizzazione.

Un Governo Regionale ti ascolta: quali sono a tuo parere le azioni prioritarie per una gestione consapevole dell’economia collaborativa?

Primariamente ascoltare il territorio e le associazioni sul territorio. Il problema dell’ascolto non è formale, è sostanziale. Per intervenire sul territorio, prima di tutto è necessario fare una verifica puntuale e dettalgiatissima di tutto quello che il territorio ci chiede, che le persone ci chiedono.

Secondariamente, è importante capire che un territorio si legge non singolarmente, ma attraverso un gruppo di lavoro eterogeneo: più è eterogeneo il gruppo che svolge l’analisi e la progettazione, più è complesso ed articolato, meglio si raggiungono gli obiettivi.

In terza battuta, la Regione deve agire: con azioni efficaci, veloci. Deve intervenire attivamente sul territorio senza meri esercizi speculativi, ma concretamente. Penso che oggi gli strumenti ci siano. Non abbiamo una normativa urbanistica adeguata, ma abbiamo in molte regioni bravissimi amministratori che possono adottare pratiche di ascolto e collaborazione. Io spero che la nostra legge nazionale integri un giorno le best practice della collaborazione, ma oggi già molti amministratori lo stanno facendo.

L’urbanistica del futuro deve essere fatta insieme a chi vive la città: quando l’urbanistica sarà davvero collaborata avremo uno straordinario processo di riqualificazione dei nostri spazi degradati.

Oggi non ci sono strumenti normativi né progettuali chiari per procedere in questo senso e soprattutto non c’è l’abitudine. Ma è possibile e ne abbiamo la prova con i tanti progetti bellissimi di trasformazione urbana del territorio che sono messi in atto in Italia e nel mondo. Le best practice sono tante e non vedo problema ad applicarle nei nostri territori. Il nostro compito è convincere i pianificatori a procedere in questa direzione e a portarli sul campo.

(Testo riadattato da una intervista realizzata per il progetto #CollaboraToscana)

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