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Ne parliamo con Francesca Bianchi

Una intervista con Francesca Bianchi, Sociologa dell'Università degli studi di Siena, sull'economia della collaborazione e della condivisione e sul percorso #CollaboraToscana.

 

 

 

 

 

 

Quali sono gli sviluppi più promettenti che si sono aperti con lo sviluppo dell’economia della condivisione e della collaborazione?

Sono molto contenta che questo tema, che non è nuovo, ma è entrato negli ultimi anni nell’agenda politica di molti paesi, sia al centro del lavoro della Regione Toscana.  Allo stesso tempo, ritengo che la scelta di un focus prettamente economico - che si esplicita nella volontà di definire una policy sulla economia della collaborazione e della condivisione - rischi di far cadere in secondo piano le ricadute sociali e culturali importanti che i fenomeni della collaborazione e della condivisione portano con sé. Lo stesso economista Sen nel suo lavoro sulle capabilities ricordava già negli anni ‘80 di andare oltre l’aspetto dell’accessibilità ai beni e ai servizi per analizzare le capacitazioni sociali e umane delle persone. Altri studiosi nel campo delle scienze sociali hanno lavorato su questi aspetti allargando l’ottica ben oltre la dimensione  economica e di mercato. Perché parlare di condivisione e collaborazione è di fatto in antitesi con il principio dell’homo œconomicus: l’idea infatti non è soltanto quella di accedere a beni e servizi potendo risparmiare e con attenzione alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, ma anche e soprattutto quella di procedere ad una ricucitura della società e del tessuto sociale, con sviluppi, ricadute e conseguenze molto promettenti, che vanno ben aldilà delle intenzioni individuali e che interessano la società tutta.

Ecco, l’aspetto più interessante a mio parere è proprio questa duplice dimensione degli effetti prodotti dal modello collaborativo: effetti economici ma anche e soprattutto effetti sociali. Per cui considerarne solo una sarebbe sbagliato e riduttivo.


Molti commentatori mettono in evidenza anche possibili criticità e rischi. Quali sono secondo te gli elementi da tenere in considerazione da questo punto di vista?

 
In un contesto così nuovo, in cui i singoli si muovono con grande autonomia dando origine a movimenti spontaneistici che è ancora difficile comprendere appieno, è noromale che ci siano casi di successo così come insuccessi,  situazioni critiche e situazioni virtuose. Quando le persone si mettono in moto con un processo di questo tipo, non solo non si possono fermare, ma è anche normale che vi sia una sorta di decentramento della partecipazione e del potere che queste famiglie e comunità potranno avere. Come intervenire per gestire gli aspetti di maggiore criticità? Io penso che da questo punto di vista ci sia lo spazio per il protagonismo della politica e del governo locale, regionale e nazionale, che possono avere un ruolo di coordinamento generale, al fine di monitorare, stimolare, promuovere. Potrebbero ad esempio essere creati tavoli tecnici, così come sono stati creati in altri paesi su pratiche abitative alternative, quali il cohousing e l’housing sociale. Solo se l’Attore pubblico riesce a monitorare e non a impedire, a condurre una attenta analisi e ad avere un ruolo di stimolo, promozione e coordinamento, si possono evitare le derive o gli effetti più perversi di questa tendenza.
 
Mi puoi fare un esempio concreto di una esperienza legata all’economia collaborativa che ti ha particolarmente colpita? Perché?

Il primo esempio è senz’altro quello dei GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) di cui mi sono occupata e che esemplificano bene la doppia dimensione - economica e sociale, di cui parlavo prima. Ad una prima lettura potremmo ricavare che le persone partecipino ai GAS soprattutto per risparmiare e consumare prodotti buoni, con scarso impatto ecologico e altamente sostenibili.
 
Ad una analisi più attenta,  si capisce che i GAS si sono in realtà diffusi anche e soprattutto come occasioni per ripristinare pratiche di prossimità e di vicinato sparite nei tempi di frammentazione,  di crisi e di individualismo che viviamo. C’è una volontà da parte delle persone che aderiscono a esperienze di questo tipo di ricucire le relazioni: chi fa parte di questi nuclei, arriva poi a creare reti all’interno della società civile, esportando la collaborazione nei servizi e arrivando a riqualificare i quartieri ed i territori in cui vive.

L’altro esempio è invece legato al tema del cohousing nello specifico e delle politiche abitative alternative e innovative in genere. Anche questa è una esperienza di cui mi sto occupando e che mi colpisce molto perché rinnova e rilancia una idea di vivere insieme che non solo è molto intenzionale, ma ha anche effetti importanti per i residenti delle aree in cui questi gruppi di persone vanno ad installarsi, con ricadute interessanti sul tessuto sociale in generale e sulle politiche sociali, e con la specifica volontà di promuovere uno stile di vita più sano, dove ciascuno guadagni dalla presenza dell'altro, partendo dall’idea che si può vivere meglio scambiando e comunicando con gli altri.

Credo che questo sia il futuro che ci aspetta e a cui arriveremo. Ovviamente senza banalizzare la complessità, ma con la consapevolezza che di fronte alla frammentazione sociale, al deficit pubblico e alla crisi del welfare tradizionale, questo sia l’approccio che potrebbe permettere di girare pagina. Ovviamente, perché prevalgano gli aspetti più virtuosi, l’Ente pubblico deve giocare un ruolo centrale.
 
Un Governo Regionale ti ascolta: quali sono a tuo parere le azioni prioritarie per una gestione consapevole dell’economia collaborativa?

Quello che dovremmo fare in prima battuta è una grande opera di conoscenza. Sono esperienze molto diffuse, molto presenti, ma anche molto frazionate a livello di quartiere e di comune. Io sentirei l’esigenza di mappare e monitorare meglio le singole esperienze, quello che succede sui territori.

E poi il pubblico dovrebbe avere un ruolo di facilitazione, di promozione e di regia, ad esempio sostenendo chi sta investendo in questo tipo di approccio, che altrimenti rischia di scoraggiarsi. Ad esempio con finanziamenti ed incentivi per le esperienze più interessanti: nel settore del cohousing questo potrebbe significare l’accesso agevolato ad immobili di proprietà pubblica in disuso - che sappiamo essere molti nelle nostre città - da parte di quei gruppi di cittadini che abbiano un progetto convincente di abitare innovativo. Chiedendo loro in cambio di intervenire a migliorare il territorio in cui sono e di lasciare qualcosa alla comunità in cui si installano.  

(Testo riadattato da una intervista realizzata per il progetto #CollaboraToscana)

 

 

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